Qualche giorno fa il mio amico P. mi ha mandato una poesia.
L’autore si chiama Herberto Hélder, un nome rotondo, completo, ho pensato quando l’ho letto, e ho pensato anche che una persona con questo nome doveva avere un viso ugualmente rotondo, non nel senso della forma, ma piuttosto nel senso della completezza. E infatti ho ricercato il suo viso, ed è proprio così. È un viso completo.
La maggior parte della gente là fuori ha nomi incompiuti e visi che sembrano solo abbozzati. Facce incomplete, facce che non hanno mai compiuto un giro per intero, che aspettano specchi, che aspettano lingue che vengano a leccarle ma sono come gelati al niente. Sembra che qualcuno abbia cominciato a disegnarli ma poi gli è venuta a mancare la perseveranza e ha lasciato lo schizzo incompleto. E sembra che non abbiano sopracciglia dietro i peli sulle arcate sopraccigliari, che non abbiano precipizi dentro le iridi, niente ruscelli di sangue sotto le tempie e via dicendo. Si presentano, pronunciano il proprio nome, e questi nomi sembrano appartenere a una lingua con un vocabolario di una sola parola, il loro nome, e niente altro.
Tutto questo c’entra poco con la poesia che sto per trascrivervi.
Ma la pertinenza non è tenuta di gran conto, qui.
La cosa che mi viene da pensare è, semplicemente, che i poeti si mancano tra di loro, e non è solo una questione letteraria, ma è proprio un fatto di nomi e di facce. Quando un poeta sente la mancanza di un altro poeta, è un fatto di fonemi, di fronti, di consonanti palatali, di palati, di peli piccoli sui zigomi, di iati.
“Nessuno sa se il vento trascina la luna o se la luna
estrae un vento dal buio.
Le stanze contemplano la notte con una attenzione estasiata.
Facciamo algebra, musica, astronomia,
una mappa
intuitiva del mondo. Il sussulto,
l’agonia, a volte un mostruoso giubilo,
scatenano
bruscamente il ritmo.
– Un dito tocca i templi, s’immerge così profondo
che tutto il sangue del corpo viene alla bocca
in una parola.
E il vento di questa parola è una espansione della terra.”
Forse quello che i poeti vedono nelle facce degli altri poeti sono le mappe intuitive dei mondi, e attraverso i loro nomi e il suono dei loro volti possono raccontarsi quello che vedono e come lo camminano, e sembrano tipi normali che chiacchierano in un baretto attorno a un tavolo, e invece no. Lì dentro quel baretto attorno a quel tavolo c’è il mondo completo, il mondo perfettamente compiuto.
Il mio amico P., io gli voglio bene.